(b.g.) Datemi del cibo e vi solleverò il mondo. L’agroalimentare di qualità, con una nuova attenzione al rapporto qualità/prezzo, ed alla sostenibilità hanno sconfitto la pandemia nelle attenzioni dei consumatori italiani. Contrariamente alla precedente crisi economica del 2012-13 (quando gli italiani si rivelarono più risparmiosi sul food rispetto alle altre famiglie europee), gli Italiani quest’anno non hanno rinunciato al cibo e, anzi, proprio dal cibo sembrano abbiano iniziato a cambiare priorità e comportamenti. E contrariamente alla crisi precedente non intendono modificare troppo il budget.

L’analisi (ma è soltanto una delle tante che nascono da questa survey) proviene dal rapporto 2020 della Coop che ha sondato le opinioni di centinaia di executive italiani sui cambiamenti imposti dalla pandemia. Fra i quali, qui ci soffermeremo soltanto su quelli dati legati alla nuova attenzione alla sostenibilità ed all’agroalimentare con i suoi riflessi nei carrelli della spesa famigliare.

Nell’anno che ha registrato – per la prima  volta da 70 anni – una riduzione della domanda d’energia di ben sei punti percentuali e la non immissione in atmosfera di 2,7 gigatoni di CO2, gli Italiani sono convinti che si debba marciare velocemente verso una transizione green dell’economia che punti ad un nuovo concetto di economia, alla decarbonizzazione delle attività produttive attuali ed all’azzeramento delle plastiche. In questo si trovano perfettamente a loro agio negli obiettivi dell’Unione Europea fissati per la fine del decennio (meno 30% dei gas serra rispetto a quelli prodotti nel 1990; 100% imballaggi riciclabili; meno 90% delle emissioni del trasporto, sebbene questo target sia stato portato al 2050).

Chi sono questi italiani ecologisti? La Coop li divide in quattro categorie: i “no waste” dell’età compresa fra i 18 ed i 34 anni; quelli della “smart energy”, dai 25 ai 45 anni in pieno orgasmo professionale; gli “stay open” dai 35 ai 50 e – fascia ben più determinante per peso numerico –  i “local supporter”, già in pensione, che oggi guardano con attenzione a tutto ciò che è locale, prodotto a breve distanza dal luogo di consumo, biologico.

Queste quattro categorie sono anche quelle che decidono – riempiendo in un certo modo o in un altro il proprio carrello della spesa – le politiche dell’intera industria agroalimentare e della distribuzione organizzata che è la cinghia di trasmissione determinante nelle prossime scelte strategiche dei produttori. Secondo gli intervistati per l’Ufficio studi Ancc-Coop, la dimensione della spesa alimentare non sarà intaccata da eventuali restringimenti di budget. Una percezione che li vede più convinti anche del resto degli europei. Del resto il ciboche nelle settimane di lockdown era stato genere di conforto e dimensione di sostegno e aggregazione dell’intero nucleo familiaremantiene la sua centralità e la sua non negoziabilità.

Le famiglie che oggi intendono rivolgersi a prodotti più economici sono meno di un terzo dell’intero corpo sociale e, soprattutto, rappresentano la quota più bassa tra i grandi paesi europei. E anche per il futuro, quando la situazione economica sarà in ripresa, la quota di italiani che intende continuare a preferire alimentari meno costosi resta meno ampia di quella di molti altri paesi europei, Germania in testa. Ovviamente, a cercare maggiori occasioni di risparmio saranno soprattutto gli italiani in forte difficoltà economica (e meno quelli più abbienti) ma anche in questo caso solo 1 consumatore su 4 prevede di ridurre il budget da destinare all’acquisto di prodotti alimentari e bevande.

La grande maggioranza delle famiglie italiane sembra più restia che in passato a scendere a patti sulla qualità dei propri consumi alimentari e appare pronta a mettere in atto ogni accorgimento necessario per portare a coerenza tale priorità con la necessità di far quadrare budget familiari sempre più ristretti.

Sul fronte delle specifiche merceologiche, l’indagine realizzata dall’Ufficio Studi di  Coop sugli executive che lavorano nel settore food&beverage, consente di individuare i principali elementi evolutivi. Secondo questi esperti, saranno  innanzitutto frutta e ortaggi a trovare più apprezzamento da parte dei consumatori italiani seguiti da prodotti confezionati (con un saldo tra chi prevede un aumento e una diminuzione della spesa per questi prodotti pari a +26%) e surgelati (+25%). Al contrario, appaiono in possibile rallentamento i consumi dei derivati di origine animale, sia carne e pesce freschi (saldo -12%) che, soprattutto, latticini e salumi (-22%).  Un manager su due pensa che nel 2021 assisteremo a una moderata inflazione alimentare (contenuta tra l’1% e il 3%) ed infatti circa un italiano su 10 è preoccupato da questi aumenti sebbene in maniera meno diffusa rispetto a tedeschi, francesi e inglesi.

Gli Italiani dimostreranno anche questa volta di saper trovare soluzioni originali all’apparente contraddizione tra la riduzione della spesa e la ritrosia a indietreggiare sulla qualità dell’alimentazione domestica. L’analisi degli acquisti degli ultimi mesi lascia intuire alcune delle possibili strategie già messe in campo dagli italiani: appare rilevante la crescita dei prodotti di base, trainata dal ritorno ai fornelli degli italiani sperimentato durante il lockdown, e la contemporanea riduzione delle referenze ready to eat, dei piatti pronti e in generale dei segmenti premium. Anche una volta terminato il lockdown farine, lieviti, latte, uova e tutta l’altra ingredientistica registrano una espansione di quasi il 25% nelle vendite in Gdo (periodo 04 maggio-19 luglio 2020). Di contro, i piatti pronti freschi segnano una contrazione delle vendite, nel medesimo periodo, del 4,2%, mentre, sempre secondo l’indagine sui consumatori condotta ad agosto dall’Ufficio Studi Coop, sono quasi 3 su 10 i consumer che nel 2021 hanno intenzione di diminuire gli acquisti di piatti pronti e ready to eat. É pari invece al 23% la quota di consumatori che ridurrà la presenza nel carrello di prodotti di brand premium o che vi rinuncerà.

Tutti questi trend lasciano intendere di una tendenza alla preparazione domestica del cibo e al minore ricorso a prodotti ad elevato contenuto di servizio, sostituendo a tali prodotti più costosi,  preparazioni homemade di qualità altrettanto elevata ma sicuramente meno costosa in termini monetari.